Medicina legale

Imputabilità

L’articolo 85 del Codice Penale sancisce che nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere. L’imputabilità è quindi la verifica dell’esistenza in colui che ha commesso un delitto della capacità di intendere e di volere al momento della commissione del fatto, pertanto è la premessa affinché il soggetto che abbia commesso un reato venga punito con le pene previste per lo stesso.
La locuzione “capace d’intendere e volere” deve essere intesa come l’attitudine del soggetto a rendersi conto del va­lore sociale dell’atto che compie, a discernere e valutarne le conseguenze, ad autodeterminarsi nella selezione dei molteplici motivi che esercitano nella sua coscienza una particolare attrattiva.
La capacità di intendere è l’attitudine a:

  • Valutare le circostanze in maniera realistica.
  • Comprendere o valutare le proprie azioni od omissioni (nel contesto della società).
  • Sottoporre ad esame critico.
  • Prevederne le conseguenze materiale e morali.
  • Valutarle dal punto di vista del ricevente.
  • Riconoscere l’eventuale antigiuridicità: è assolutamente l’ultimo di questi parametri perché la maggioranza delle persone non conoscano tutti i reati.

La capacità di volere è l’attitudine a:

  • Determinarsi in modo autonomo in vista di uno scopo di cui si è consapevoli.
  • Saper individuare le alternative comportamentali attuabili.
  • Sceglierne una con realismo, cognizione di causa e consapevolezza delle conseguenze.

L’imputabilità è soggettiva e a partire dall’età di 18 anni si dà per scontata, cioè si presume che chi sia maggiorenne abbia una maturità psichica che gli conceda di valutare criticamente le proprie azioni riconoscendo quello che è giusto e sbagliato sotto un profilo giuridico e/o morale.
Il soggetto che ha un’età inferiore ai 14 anni è sempre ritenuto non imputabile (art. 97 c.p.) perché si ritiene che al di sotto di questa età il minore non abbia la capacità di comprendere le proprie azioni e per tanto non è chiamato a risponderne (pur avendo commesso un reato penalmente previsto).
Per quanto concerne i soggetti di età compresa tra i 14 e i 18 anni l’imputabilità deve essere valutata singolarmente caso per caso (art. 98 c.p.): non può esser data per scontata ma può sussistere. Spetta alla valutazione fatta dal giudice e dai periti valutare se lo sviluppo della personalità del minore risulti adeguato all’età cronologica, se vi sia coerenza fra età anagrafica ed età bio-psicologica. In altri termini se il giovane sia da considerarsi “maturo” non in senso astratto bensì in riferimento al delitto commesso. È evidente difatti che il livello di maturità richiesto cambia in relazione al tipo di reato in discussione; diversa è la maturità necessaria ad un minore per comprendere l’antigiuridicità di un delitto come l’omicidio rispetto, ad esempio, ad un abuso sessuale. Tra i 14 e i 18 anni, anche se dichiarato imputabile, il minore beneficerà in ogni caso di una diminuzione di pena; se ritenuto invece non imputabile per “immaturità” non potrà essere assoggettato ad alcuna pena.

Cause di esclusione dell’imputabilità
L’ordinamento prevede delle cause di esclusione dell’imputabilità, oltre per il minore di anni 14 e per i casi selezionati di minori con età compresa tra 14 e 18 anni.

  1. Patologie psichiatriche possono giustificare una non imputabilità, ben inteso che nel codice penale non vi è alcuna pregiudiziale in ordine al rapporto fra ma­lattia mentale e vizio di mente. Una malattia mentale non postula automaticamente un vizio di mente, non significa in altri termini che un individuo non sia in grado di comprendere il significato degli atti che compie o non sia in grado di scegliere; può accadere che per effetto della sua malat­tia, in particolare durante alcune fasi cliniche di maggiore scompenso, la sua capacità sia compromessa, ma in tanti altri momenti della sua vita, di ogni giornata, egli può sapere ciò che fa e dunque è chiamato a risponderne. Il difetto di imputabilità va ricercato caso per caso, verificando se l’infermità fosse presente al momento della commissio­ne del reato e quale ruolo abbia svolto in concreto. Sino a quando tutto ciò non viene dimostrato, anche il malato di mente, al pari di ogni altro cittadino maggiorenne, è da considerarsi imputabile.
    Si pensi ad un soggetto schizofrenico che abbia allucinazioni uditive che gli dicono che la persona che al suo fianco è il demonio e per tanto deve essere ucciso. Se il soggetto commette l’omicidio non sarà imputabile perché al momento del fatto si è trovato in uno stato psichico per cui sia la capacità di intendere sia quella di volere (quindi la possibilità di opporre scelte diverse a quelle dell’allucinazione uditiva) erano totalmente compromesse. Altresì, tuttavia, se il paziente che sente la voce che gli parla del demonio entra in un supermercato e ruba qualcosa, questo potrebbe esser imputabile per furto poiché il suo stato psichico non ha nulla a che fare con la scelta di rubare (le allucinazioni uditive non gli dicono certo di rubare e pertanto rispetto al reato di furto il soggetto è pienamente capace di intendere e volere).
    L’articolo 88 del Codice Penale introduce la condizione giuridica (quindi non clinica) di infermità di mente, definendo questa come una situazione per la quale condizioni patologiche possono determinare l’esclusione (annullamento) della capacità di intendere e volere al momento in cui il soggetto ha commesso il reato. Nel caso in cui la capacità di intendere e volere è completamente esclusa si parla di vizio totale di mente. Condizioni nelle quali la capacità di intendere e volere risulta grandemente scemata, senza escluderla, al momento in cui il soggetto ha commesso il fatto, definisce la situazione di vizio parziale di mente (art. 89 c.p.) per la quale è prevista l’imputabilità del soggetto (al contrario di quanto sancito all’art. 88 c.p.) seppur, tuttavia, la pena prevista per il reato deve essere ridotta di un terzo.
  2. Soggetti che utilizzano sostanze alcoliche e stupefacenti; vanno distinti diversi casi:
  • Intossicazione cronica da alcool e da sostanze stupefacenti (art. 95 c.p.): è una delle due situazioni in cui colui che commette un reato potrà esser non imputabile riferendosi a quanto disposto dagli artt. 88 e 89 c.p.; sarà cioè necessario valutare, previa perizia medico-legale, se il soggetto ha un vizio totale o parziale di mente determinato dall’intossicazione cronica e, di conseguenza, trattarlo secondo quanto disposto dagli articoli di cui sopra) è nota infatti molto bene la demenza alcolica mentre è più difficile valutare la cronica intossicazione da sostanze stupefacenti. L’intossicazione cronica deve essere dimostrata. Ad esempio, su deve valutare se c’è atrofia corticale negli alcolisti cronici o lesioni puntiformi della corteccia nei consumatori di cocaina.
  • Ubriachezza abituale (art. 94 c.p.): in questo caso se il soggetto commette un reato la pena deve essere aumentata rispetto a quanto previsto dalle disposizione del Codice Penale; questo tipo di trattamento trova giustificazione nella capacità di intendere e di volere che il soggetto possedeva quando ha iniziato a bere (il soggetto sapeva perfettamente che bere poteva causare delle conseguenze e quindi se ne assume le responsabilità).
  • Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata (art. 92 c.p.): il soggetto si pone in uno stato di incapacità d’intendere e volere al fine di commettere un reato o di procurarsi una scusa; l’imputabilità non viene né aumentata né diminuita nell’ubriachezza volontaria o colposa (per le stesse ragioni di cui sopra) mentre è aumentata in caso di ubriachezza preordinata.
  • Ubriachezza derivata da caso fortuito o di forza maggiore (art. 91 c.p.): in questa situazione l’ordinamento prevede (così come per l’art. 95 c.p.) la non imputabilità per colui che si trova in stato di vizio totale di mente causato da ubriachezza non da lui desiderata (ad esempio una persona che costringe a bere il futuro reo).
  • Fatto commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti (art 93 c.p.): questa situazione viene messa sullo stesso piano dell’ubriachezza rimandando alle disposizioni degli artt. 91 e 92 c.p. (ubriachezza volontaria e da caso fortuito).

Articolo creato l’1 febbraio 2014.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.