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Endocardite su protesi aortica: nuova tecnica riduce la mortalità

Due importanti studi sono stati pubblicati dalle riviste internazionali Reviews in Cardiovascular Medicine e Scientific Reports: oggetto degli articoli sono i predittori per il trattamento dell’endocardite e una nuova tecnica di intervento per trattare casi di endocardite su protesi compromessi da ascesso aortico.

I pazienti affetti da questa grave infezione del cuore e delle valvole cardiache sono considerati ad alto rischio di mortalità come conseguenza dell’infezione.

L’endocardite ha visto negli ultimi 20 anni un aumento dell’incidenza dovuto a diversi motivi (ad es. scarsa profilassi antibiotica in occasione di manovre invasive). Questa infezione colpisce spesso pazienti già operati al cuore e in particolare i portatori di protesi valvolari.

Chi contrae l’endocardite su protesi valvolare (PVE Prosthetic valve endocarditis) ha una mortalità ad 1 anno che può arrivare fino al 75% (indice elevato, si consideri ad esempio che la mortalità per Covid è dello 0,1%).

La tempestività dell’intervento chirurgico è essenziale: questo perché la sola terapia antibiotica risulta spesso inadeguata ad arrestare l’infezione.

Lo studio pubblicato, tra le ricerche più rilevanti del panorama mondiale nell’ambito delle patologie cardiovascolari, è basato su dati raccolti nell’arco degli ultimi 13 anni e presenta una nuova metodica di intervento che attesta la mortalità a 30 gg all’8,5% (la mortalità con tecnica tradizionale è del 30%).

Quando la protesi valvolare è attaccata dall’endocardite è necessario un nuovo intervento a breve termine – spiega il dott. Giuseppe Nasso, responsabile della Cardiochirurgia di Anthea Hospital di Bari, autore dello studio ed inventore della tecnica, insieme al dott. Giuseppe Speziale, Coord. Cardiochirurgie GVM Care & Research, al dott. Nicola Di Bari, al dott. Marco Moscarelli, al dott. Flavio Fiore, al dott. Ignazio Condello e al dott. Giuseppe Santarpino –. Abbiamo ideato una tecnica di impianto per trattare una patologia grave con una metodica innovativa efficace che prevede la rimozione della protesi infetta e l’impianto di una nuova valvola, la quale viene applicata non più sul tessuto colpito tramite patch (una “toppa” di tessuto biologico), come con la tecnica tradizionale, ma in una posizione molto più alta rispetto all’anulus aortico (ovvero l’anello fibroso che contorna la valvola aortica), e quindi su tessuto sano. Così facendo le pareti ripulite dall’infezione rimangono aperte permettendo una migliore guarigione. Questa tecnica, che utilizziamo ormai come procedura standard, sembra una piccola innovazione ma porta a risultati straordinari.

I pazienti trattati con questa nuova procedura sono stati 47 e il follow up lungo ha consentito una verifica della validità di questa tecnica e della tenuta degli impianti a distanza di diversi anni. Grazie a questa metodica l’indice di mortalità si è significativamente ridotto: le probabilità di sopravvivenza a 3, 7, 9 anni sono rispettivamente del 97%, 87,5% e del 75%.

La nuova procedura di intervento

L’endocardite è spesso accompagnata da altre complicanze para-anulari come ascessi, pseudo-aneurismi e fistole che si sviluppano ad uno stadio avanzato della patologia. La chirurgia ha il vantaggio di eliminare tutto il tessuto infetto, a prescindere dalle strutture anatomiche coinvolte, sostituendo la valvola aortica e a volte anche l’arco aortico.

La nuova metodica chirurgica prevede l’adozione di una tecnica alternativa per l’impianto di protesi aortica nei seni di Valsalva, senza l’uso di un patch per la ricostruzione dell’anello aortico, in pazienti con endocardite su protesi valvolare complicata da ascesso aortico.

La valvola e il tessuto infetto circostante sono asportati e ispezionati attentamente. La protesi infetta viene rimossa completamente e inviata al laboratorio per un esame delle colture. L’ascesso viene svuotato, lavato con soluzione disinfettante e lasciato aperto ad asciugare per una migliore guarigione, e la valvola viene ancorata all’altezza del seno di Valsalva.

Nessun paziente operato mediante questa nuova tecnica ha presentato insufficienze peri-protesiche o ha avuto ricadute di endocarditi. Questa metodica alternativa può dunque dare ottimi risultati a lungo termine nei casi di infezioni su protesi complicate da ascesso aortico paranulare.

Tutti i pazienti sono seguiti con un follow up ogni 6 mesi dopo l’intervento. Le visite includono un esame fisico, elettrocardiografia ed ecocardiografia transtoracica.

Dott. Nasso