Medicina legale

Segreto professionale

Indice

In breve

Il segreto professionale riguarda la custodia, da parte del professionista sanitario, di tutto quanto questi venga a conoscenza del proprio paziente, non palese e non no­ta a terzi, nel corso del rapporto che si è instaurato tra medico e paziente.
Oggetto del se­greto non sono solo e soltanto fatti inerenti alla salute dell’assistito conosciuti durante l’esercizio della professione, bensì, più estensivamente, qualsiasi notizia, anche non ine­rente alle condizioni di salute, sia dell’assistito sia dei suoi congiunti/conviventi/familiari/conoscenti/colleghi, conosciuta dal professionista, non solo durante l’esercizio formale della professione, ma anche al di fuori, comunque in ragione, della stessa (si tenga presente che qualsiasi confidenza dell’assistito, anche nella circostanza di un incontro occasionale, viene fatta al professionista proprio in quanto tale, anche se in quel momento non esercita, fidando nella sua discrezione).
Non ha importanza la modalità con cui tali notizie possono essere state acquisite: udite, intuite, apprese direttamente dal medico o acquisite attraverso la visione di uno scritto, confidate dal paziente, ecc., né la sfera che riguarda l’individuo sia essa di ordine fisico, psichico, economico, sentimentale, familiare, ecc.
Il segreto professionale è uno degli elementi fondamentali del rapporto medico-­paziente. Il medico non può acquisire la fiducia del paziente, e quindi essere fatto partecipe di tutte le notizie più o meno private che riguardano la malattia, se non garantisce al paziente stesso di mantenere il più ampio riserbo su quanto verrà a conoscere. È un obbligo ed un dovere deontologico ed etico prima che giuridico.

Art. 10 del Codice di Deontologia Medica

L’articolo 10 (Segreto professionale) del Codice di Deontologia Medica sancisce che il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o di cui venga a conoscenza nell’esercizio della professione. La morte del paziente non esime il medico dall’obbligo del segreto. Il medico deve informare i suoi collaboratori dell’obbligo del segreto professionale. L’inosservanza del segreto medico costituisce mancanza grave quando possa derivarne profitto proprio o altrui ovvero nocumento della persona assistita o di altri. La rivelazione è ammessa ove motivata da una giusta causa, rappresentata dall’adem­pimento di un obbligo previsto dalla legge (denuncia e referto all’autorità Giudiziaria, denunce sanitarie, notifiche di malattie infettive, certificazioni obbligatorie) ovvero da quanto previsto dai successivi articoli 11 e 12. Il medico non deve rendere al giudice testimo­nianza su fatti e circostanze inerenti il segreto professionale. La cancellazione dall’albo non esime moralmente il medico dagli obblighi del presente articolo.

Art. 11 e D. Lgs. 196/2003

L’articolo 11 (Riservatezza dei dati personali) e il D. Lgs. 196/2003 stabiliscono che il medico è tenuto al rispetto della riservatezza nel trattamento dei dati personali del paziente e particolarmente dei dati sen­sibili inerenti la salute e la vita sessuale. Il medico acquisisce la titolarità del trattamento dei dati sensibili nei casi previsti dalla legge, previo consenso del paziente o di chi ne eserci­ta la tutela. Nelle pubblicazioni scientifiche di dati clinici o di osservazioni relative a sin­gole persone, il medico deve assicurare la non identificabilità delle stesse. Il consenso specifi­co del paziente vale per ogni ulteriore trattamento dei dati medesimi, ma solo nei limiti, nelle forme e con le deroghe stabilite dalla legge. Il medico non può collaborare alla costitu­zione di banche di dati sanitari, ove non esistano garanzie di tutela della riservatezza, della sicurezza e della vita privata della persona.
Ad esempio, nelle pubblicazioni scientifiche non dovrà mai essere possibile l’identificazione del paziente a cui si fa specifico riferimento nell’elaborato, occultando il volto dello stesso, sostituendo le generalità con iniziali e quindi cancellando ogni riferimento possibilmente identificativo.

Art. 12

L’articolo 12 (Trattamento dei dati sensibili) dispone che al medico è consentito il trattamento dei dati personali idonei a rivelare lo stato di salute del paziente previa ri­chiesta o autorizzazione da parte di quest’ultimo, subordinatamente ad una preventiva informazione sulle conseguenze e sull’opportunità della rivelazione stessa. Al medico peral­tro è consentito il trattamento dei dati personali del paziente in assenza del consenso del­l’interessato solo ed esclusivamente quando sussistano le specifiche ipotesi previste dalla legge ovvero quando vi sia la necessità di salvaguardare la vita o la salute del paziente o di terzi nell’ipotesi in cui il paziente medesimo non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire e/o di intendere e di volere; in quest’ultima situazione peraltro, sarà necessaria l’autorizzazione dell’eventuale legale rappresentante laddove precedentemente nominato. Tale facoltà sussiste nei modi e con le garanzie dell’art. 11 anche in caso di diniego dell’interessato ove vi sia l’urgenza di salvaguardare la vita o la salute di terzi.
Il trattamento dei dati sensibili può avvenire da par­te del medico solo dopo idonea informazione del paziente ed acquisizione del suo consenso oppure quando sussistano degli imperativi di legge o quando il paziente non sia in grado di prestare il proprio assenso, ma in questo caso è necessaria l’autorizzazione del legale rappresentante.

Art. 622 C.P.

Il segreto professionale è regolamentato anche dall’articolo 622 del Codice Penale che sancisce che chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 30,99 a euro 516,47. Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Se a compiere questo delitto è un Pubblico Ufficiale o un Incaricato di Pubblico Servizio la pena è aumentata (reclusione da 6 mesi a 3 anni).
Se la violazione è colposa (negligenza, imprudenza, inosservanza delle leggi, regolamenti, ordini, discipline) la reclusione è fino ad 1 anno.

L’obbligo del segreto non è riferito solo al medico: è infatti esteso anche a chi, in ragione del suo stato, ne possa venire a conoscenza. Ci si riferisce a collaboratori del medico od a studenti del corso di Medicina e Chirurgia od Odontoiatria e Prote­si Dentaria che potrebbero essere informati di alcune notizie relative al paziente.
Per incorrere nel delitto previsto dal codice penale è peraltro necessario che si verifichi anche un’altra evenienza e cioè che la rivelazione avvenga con dolo (Art. 42 c.p.).
Infatti la rivelazione è punibile solo e soltanto se da essa ne possa derivare un nocumento secondo quanto previsto dal codice penale mentre, ai fini deontologici, mancando uno specifico riferimento, parrebbe essere punibile da parte dell’Ordine professionale anche il solo atto della rivelazione senza che ne consegua un danno per il paziente.

Cause di rivelazione

Di fronte ad una giusta causa di rivelazione si può o a volte si deve rivelare il segreto professionale.
La dottrina medico-legale divide le giuste cause di rivelazione in imperative e permissive.

  • Sono cause imperative tutte le condizioni in cui vi sia un obbligo tassativo, previsto dal legislatore, di rivelare il segreto: si fa riferimento al referto, alle denunce sanitarie obbligatorie, ai certificati obbligatori, alle denunce giudiziarie, alla perizia ed alla consulenza tecnica, alle visite fiscali, alle visite medico-legali effettuate per conto della magistratura o di compagnie di assicurazione, agli arbitrati o alle ispezioni corporali ordinate dal giudice. In tutti questi casi il medico ha l’obbligo della rivelazione dell’obiettività apprezzata in quanto vengono a prevalere gli interes­si della collettività su quelli del singolo individuo.
  • Sono cause permissive quelle che escludono la colpa di chi rende nota la notizia. Ci si riferisce a quando il segreto viene ad essere rivelato con il consenso dell’avente diritto, oppure quando chi rivela deve farlo per legittima difesa, o perché costretto fisicamente o con minacce, che possono interessare anche persone a lui vicine, o perché si è verificato un caso fortuito (furto dello schedario) ecc., situazioni tutte che hanno alla base la non volontà di mettere in circolo notizie riguardanti il paziente, errore determinato dall’altrui inganno, stato di necessità.

La segretezza delle notizie fornite dal paziente al medico è di così ampio rilievo, che l’informazione ai familiari può rappresentare una violazione del segreto professionale. Ciò si verifica quando il paziente abbia espressamente fatto divieto di infor­mare i congiunti del proprio stato o abbia specificamente individuato la persona a cui riferire, ed a lei esclusivamente, delle sue condizioni. Di ciò si è occupato diretta­mente il codice Deontologico che all’articolo 34 ribadisce che l’’informazione a terzi presuppone il consenso esplicitamente espresso dal paziente, fatto salvo quanto previsto agli articoli 11 e 12, allorché sia in pericolo la salute e la vita del soggetto stesso o di altri. In caso di pa­ziente ricoverato, il medico deve raccogliere gli eventuali nominativi delle persone preliminarmente indicate dallo stesso a ricevere la comunicazione dei dati sensibili.
Ove ci si trovi di fronte a persona che sia stata giudicata incapace ci si dovrà rivolgere al legale rappresentante che deciderà avendo presente un unico aspetto: il be­ne del paziente che rappresenta.

Il medico non è tenuto a rivelare ai genitori un segreto del minore, a meno che la rivelazione non venga fatta nell’interesse del minore stesso (ad esempio, nel caso in cui si voglia consentire ai genitori di esercitare il diritto di querela che al minore non compete).

Di fronte ad una richiesta di testimonianza e quindi di rivelazione di un segreto professionale non si può prescindere dal sottolineare come la testimonianza sia un obbligo, giuridicamente previsto, che grava su ogni cittadino. Peraltro il medico, proprio in considerazione della sua professione ha la facoltà di rispondere proprio perché è venuto a conoscenza di certi fatti nel corso della sua professione che è coperta dal segreto professionale. L’esenzione da tale obbligo è specificatamente contemplata nell’articolo 200 del Codice di Procedura Penale. Lo stesso articolo sottolinea come il giudice possa ordinare la deposizione se risulti infondata la di­chiarazione di esimersi dal testimoniare da parte del medico.
Il codice Deontologico vigente, in relazione a ciò, appare invece tassativo vietan­do al medico di testimoniare. L’articolo 10 stabilisce che il medico non deve rende­re al giudice testimonianza su fatti e circostanze inerenti il segreto professionale. Ove ciò si verificasse l’Ordine potrebbe intervenire con una sanzione nei confronti del Sa­nitario.Per quanto riguarda i pazienti affetti da AIDS le norme di legge (legge n. 135 del 1990 in tema di prevenzione dell’AIDS) stabiliscono a tal proposito per gli “ope­ratori sanitari che nell’esercizio della loro professione vengano a conoscenza di un caso […] hanno il dovere di prestare la necessaria assistenza, adoperandosi con ogni mezzo per tute­lare la riservatezza della persona assistita“. D’altro canto il R.D. del 3.02.1901 n. 4-5 all’articolo 132 impone che: “in tutti i casi di malattie infettive o diffusive, il medico cu­rante dovrà dare alle persone, che assistono o avvicinano l’infermo, le istruzioni necessarie per impedire la propagazione del contagio“.
Se sia giusto o meno informare il partner dell’avvenuta conoscenza dello stato di positività del proprio paziente, non esiste una univoca presa di posizione: per alcuni medici e giuristi vale il principio assoluto del segreto professionale, la cui violazione verrebbe a far cadere il rapporto di fiducia esistente tra medico e paziente; altri inve­ce sostengono che possa sussistere una rivelazione che si basa non solo su un alto va­lore sociale della stessa, ma anche su quanto “parzialmente” previsto dall’Art. 12 del codice deontologico (…necessità di salvare la vita o la salute del paziente o di terzi) che peraltro precisa (nell’ipotesi in cui il paziente medesimo non sia in grado di prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire e/o di intendere e di volere ).
La rivelazione del segreto verrebbe quindi considerata come giustificata, venen­dosi a trovare il medico di fronte ad una giusta causa di rivelazione o addirittura allo stato di necessità (Art. 54 c.p.) e ciò, soprattutto, ove venisse a mancare il consenso del paziente.
La risposta dei risultati relativi ad accertamenti diagnostici sia riferibili all’HIV che ad altre patologie infettive debba essere data esclusivamente al diretto interessato. È altresì ribadito come sia fondamentale avvisare il proprio paziente della reale sua condizione di soggetto potenzialmente infettante, fornendogli tutte le informazioni in merito non solo alla patologia ma anche alle possibilità di trasmissione della stessa e soprattutto alle conseguenze che ne potreb­bero derivare ed alle responsabilità penali e civili che ne potrebbero conseguire.

Per quanto concerne il soggetto tossicodipendente si rimanda alla legge 49/2006 in cui l’articolo 120 stabilisce che gli operatori del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate, salvo l’obbligo di segnalare all’au­torità competente tutte le violazioni commesse dalla persona sottoposta al programma tera­peutico alternativo a sanzioni amministrative o ad esecuzione di pene detentive, non pos­sono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, né davanti all’autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell’articolo 200 del Codice di Procedura Penale e si estendono le garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell’articolo 103 del Codice di Procedura Penale in quanto applicabili.
Come già in precedenza riferito la rivelazione del segreto professionale da parte del medico che riveste la qualifica di Pubblico Ufficiale o Incaricato di Pubblico Servi­zio appare quanto mai grave ex art. 326 c.p. (rivelazione ed utilizzazione di segre­ti di ufficio): “il Pubblico Ufficiale e la persona incaricata di un pubblico servizio che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela le notizie d’ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione […]”. Di rilievo, rispetto al segreto professio­nale che considera punibile soltanto la forma dolosa, è prevista anche la punibilità per la rivelazione colposa, derivante da atteggiamento negligente o imprudente tenu­to dal professionista.
Nel codice penale sono poi comprese delle specifiche norme relative ai delitti di violenza sessuale ove viene imposta a chiunque la massima riservatezza dell’i­dentità delle persone offese; all’art. 743 del c.p. si legge infatti come “chiunque divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l’immagine della persona offesa senza il suo consenso […]” possa andare incontro all’arresto da tre a sei mesi.
Da sottolineare, poi, a conferma della importanza del segreto professionale in ambito sanitario, come la cancellazione del medico dall’albo o il decesso del paziente non esimano il medico dal mantenere il segreto professionale.