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Effetti tossici dei farmaci

Gli effetti tossici dei farmaci posso­no essere classificati in farmacologici, patologici e genotossici (cioè determinano alterazioni del DNA), e la loro incidenza e gra­vità sono correlate, almeno oltre un certo limite, alle concentrazioni raggiunte dalle sostanze tossiche nell’organi­smo.

  • Un esempio di tossicità farmacologica è rappresen­tato dall’eccessiva depressione del sistema nervoso cen­trale (SNC) provocata dai barbiturici.
  • Un esempio di effetto patologico è il danno epatico prodotto dal paracetamolo: il suo metabolita è una specie altamente reattiva che si lega al glutatione; quando il contenuto cellulare di glutatione è depletato, il metabolita si lega alle macromolecole biologiche determinando morte delle cellule epatiche.
  • Un esempio di effetto genotossico è l’induzione di formazioni neoplastiche da parte delle mostarde azotate.

Se la concentrazione tissutale delle sostanze non oltrepassa un li­vello critico, gli effetti sono di solito reversibili in seguito a biotrasformazione o escrezione.
La tossicità di un farmaco può essere locale o sistemica.

  • La tossicità lo­cale è l’effetto che si verifica nel sito del primo contatto tra il sistema biologico e l’agente tossico. Gli effetti locali possono essere provocati da ingestione di sostanze caustiche o inalazio­ne di materiali irritanti.
  • La tossicità sistemica richiede, invece, l’assorbimento e la distribuzione del tossico. La maggior parte degli agentitossici sistemici provoca dan­ni di grave entità a uno o a pochi organi soltanto. Il SNC è il sistema più frequentemente coinvolto in effetti di tossicità sistemica; seguono, in ordine di frequenza, il sistema circolatorio, il sistema ematopoietico, gli organi visce­rali come il fegato, il rene, il polmone, e la cute. Bersagli prefe­riti sono anche muscoli e ossa.
    Danni a organi come il fe­gato, con elevata capacità di rigenerare, sono di solito reversibi­li; danni al SNC sono invece più spesso irreversibili, poiché i neuroni cerebrali altamente differenziati non sono in grado di dividersi e rigenerare.

La maggior parte degli effetti tossici dei farmaci si verifica entro tempi prevedibili generalmente brevi dopo la somministrazione. Tuttavia, in alcuni casi i sintomi del­la tossicità compaiono dopo tempi prolungati. Per esempio, l’a­nemia aplastica causata dal cloramfenicolo può manifestarsi dopo settimane dalla sospensione del trattamento.
Gli effetti cancerogeni dei farmaci hanno di solito un lungo periodo di la­tenza e possono trascorrere anche 20 o 30 anni prima che si os­servi l’insorgenza di tumore.

I carcinogeni chimici sono clas­sificati in due gruppi maggiori: i carcinogeni genotossi­ci e quelli non genotossici.

  • I carcinogeni genotossici in­teragiscono con il DNA. La maggior parte di essi non è di per sé reattiva perciò si parla di procarcinogeni (o carcinogeni prossimali), ma è convertita nell’organismo a carcinogeni primari (o terminali).
    Gli enzimi farmaco-metabolizzanti (di fase I e di fase II) spesso convertono i procarcinoge­ni in intermedi reattivi poveri di elettroni (elettrofili), che possono interagire con i centri ricchi di elettroni (nucleofili) delle molecole di DNA, così da produrre mutazioni. Il DNA può tornare alla normale struttura solo se sono operativi i meccanismi deputati alla sua riparazione, altrimenti la cellula tra­sformata può evolvere a tumore che diventa clinicamente manifesto.
  • I carcinogeni non genotossici, definiti anche promo­tori, non sono in grado da soli di provocare tumori, ma potenziano l’azione dei carcinogeni genotossici. Essi fa­cilitano la crescita cellulare e favoriscono lo sviluppo delle cosiddette cellule tumorali dormienti (o latenti).

Per determinare se un agente chimico è potenzial­mente carcinogeno per l’uomo si eseguono due diversi tipi di studi sperimentali.
Un primo gruppo di test viene effettuato per determinare se la sostanza sia mutagena, prerogativa comune a molti carcinogeni. Si tratta per lo più di studi in vitro, come il test di Ames che utilizza la Salmonella typhimurium e può essere realizzato in tempi brevi. Il test si basa sul fatto che un gene mutato permette al batterio di crescere in un terreno privo di istidina. Quindi, se la sostanza permette al batterio di crescere in un simile terreno, vuol dire che è cancerogena. Questo saggio può evi­denziare carcinogeni genotossici, ma non agenti pro­motori.
Un secondo tipo di studio si basa sulla sommi­nistrazione della sostanza ad alti dosaggi agli animali da laboratorio (topi e ratti) per l’intero arco della vita. Vengono poi eseguite su ogni animale l’autopsia e le determinazioni istopatologiche. Dal confronto delle in­cidenze di tumore determinate in animali di controllo e sottoposti a trattamenti è possibile verificare se la so­stanza sia capace di aumentare o meno l’insorgenza dei tumori.

Articolo creato il 2 marzo 2010.
Ultimo aggiornamento: vedi sotto il titolo.